Partita la digitalizzazione dell’Erbario Centrale Italiano di Firenze
È il più grande erbario italiano e tra i più importanti al mondo. Il progetto del National Biodiversity Future Center interesserà oltre quattro milioni di campioni vegetali
Il National Biodiversity Future Center (NBFC), primo centro italiano di ricerca sulla biodiversità sostenuto con 320 milioni di euro dal PNRR Next Generation – EU, ha avviato il piano di digitalizzazione massiva dell’Erbario Centrale Italiano e di altre collezioni naturalistiche italiane, per un totale di 4 milioni e 200mila campioni, grazie a un finanziamento di quasi 7 milioni di Euro. La conclusione dei lavori è prevista per la fine di Agosto 2025. L’incarico è stato assegnato, grazie a un bando internazionale dell’Università di Padova, a Picturae, un’azienda che opera a livello mondiale. Utilizzando la tecnologia a nastro trasportatore ogni giorno vengono digitalizzati circa 10.000/12.000 campioni.
«Il piano di digitalizzazione massiva si inserisce tra le azioni concrete che NBFC è chiamato a operare per la ricerca e la valorizzazione della biodiversità in Italia», afferma Luigi Fiorentino, Presidente del National Biodiversity Future Center. Si tratta di una delle operazioni più importanti in ambito scientifico-naturalistico degli ultimi decenni.
«L’Erbario Centrale di Firenze contiene almeno 2 milioni stimati di campioni, tra piante a seme (Erbario fanerogamico) e organismi privi di fiori e semi come muschi, felci, alghe, funghi e licheni (Erbario crittogamico), oltre a un vasto deposito che raccoglie centinaia di migliaia di campioni ancora poco o mai studiati», spiega Stefano Cannicci, responsabile scientifico del NBFC per l’ateneo fiorentino. «Inoltre qui sono conservate alcune tra le collezioni botaniche storiche più importanti in Italia, vere e proprie testimonianze della sistematica e della tassonomia vegetali, tra cui la collezione privata del botanico e naturalista Philip Barker Webb (1793-1854) raccolta principalmente tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento che, con i suoi 250 mila campioni provenienti da ogni area del mondo, è ancora oggi uno degli erbari più consultati dai botanici».
L’Erbario Centrale Italiano (Herbarium Centrale Italicum, HCI), nacque nel 1842 da un’idea del botanico palermitano Filippo Parlatore, che per primo si rese conto della necessità di un rinnovamento generale della sistematica botanica e degli studi fitogeografici. Sotto la sua direzione divenne non solo punto di raccolta, ma vero e proprio centro nevralgico di ricerche e di scambi di campioni vegetali con botanici di tutto il mondo. Da allora molto è cambiato, ma l’erbario resta ancora uno dei principali strumenti per lo studio, la conservazione e la catalogazione delle piante, nonché un archivio di informazioni storiche stratificatesi nel tempo e spesso ancora inesplorate.
Ogni campione botanico, infatti, racconta una storia legata alla persona che lo ha raccolto e al suo percorso, come quello compiuto dal giovane naturalista Charles Darwin durante il suo viaggio intorno al mondo sul Beagle (1831-1836), oppure come i campioni raccolti da Odoardo Beccari nel Borneo a metà dell’Ottocento. Anche le piante che oggi conosciamo e che vediamo in parchi e giardini hanno una lunga storia da raccontare. Ad esempio l’Indigofera tinctoria, dalla quale si estrae il famoso “Indaco dei tintori”, un colorante vegetale utilizzato già 4.000 anni fa in India per tingere tessuti naturali e usato anche in medicina e cosmesi; nell’Ottocento fu utilizzato per tingere una stoffa grezza resistente per pantaloni da lavoro di operai e minatori, chiamati jeans. La catalogazione è partita dalle collezioni di tracheofite o piante vascolari, quelle cioè caratterizzate dalla presenza di veri tessuti e organi, e si estenderà via via ad altre raccolte. Prevede di acquisire e rendere accessibili in rete sia immagini ad alta definizione di ogni singolo foglio d’erbario, sia informazioni trascritte dalle etichette, in modo che chiunque, possa accedere a questo tesoro. Inoltre queste preziose informazioni potranno “dialogare” con quelle di altre centinaia di raccolte sparse per il mondo, con l’obiettivo di ottenere un grande database ricco di dati della biodiversità vegetale del passato che possa essere comparata a quella del presente.
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