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Orti e giardini urbani:

avamposti della natura

 

Ritorno al passato o corsa ai ripari?

 

di Anny Pellecchia

 

L’ultima pianta di pomodoro è stata caricata sul furgone, il produttore simpaticamente saluta mio padre in napoletano: «Ugo, mangi nà semmana». Davvero le piante sono così piene di pomodorini che si può mangiare per una settimana! Mai in passato nel nostro negozio erano entrate piante da orto. Una volta scaricate, i bei pomi d’oro vanno letteralmente a ruba! «È cambiato il mondo!», esclama mio padre. Non c’è da stupirsi, oggi, i pomodori così come tante verdure e frutta, non sanno più di niente.

Pietro Citati nel suo libro “Elogio del pomodoro” afferma: «Sarei disposto a spendere anche 20 Euro per un chilo di pomodori veri, quelli della mia giovinezza; quando li mangiavo, ero penetrato dalla rtf orti avamposti esploso minsostanza del sole». Il sole non solo penetra dentro di noi saporosamente, ma rende anche odoroso ciò che mangiamo. Quelle piante infatti profumano di sole cocente di lava di terra.

Già la terra, mi guardo intorno, tanto cemento; mi chiedo siamo ancora in grado di vedere veramente, di capire un profumo? Non so dare una risposta certa, ma c’è nell’aria un cambiamento. Un cliente mi ha confessato il desiderio di acquistare un pezzo di terra, un altro che vive a Roma mi ha detto che è stanco e come molti della capitale sogna la campagna. Un amico milanese mi ha confermato che nella city è lo stesso.

Il giornalista Massimo Acanfora ha pubblicato un libricino “Coltiviamo la città” e, spulciando la sitografia, una sfilza di siti web mi hanno portato alla conoscenza di un nuovo popolo emergente italiano che attraverso orti condivisi o in dotazione portano letteralmente la campagna in città!

Ridateci la terra! Abbasso i balconcini dei palazzi! Poveri italiani con un clima così dolce costretti a balconi cosiddetti “un occhio, un orecchio”. Quei balconi una volta però erano veri e propri palchi di teatro, ma oggi quale opera teatrale può nascere se non possiamo neanche più aprirli per lo smog? Giulietta e Romeo parlano per ore al cellulare, la macchinetta da caffè napoletana di Eduardo De Filippo è stata sostituita con sacrileghe cialde e il ventaglio di Goldoni non cadrà più giù dal balcone, ormai appeso al chiodo gela sotto l’aria condizionata.

Intanto nel 1800 Jorn de Prècy mentre curava il suo giardino e il suo orto in Inghilterra, inconsapevole veggente, intuiva il futuro: «La città moderna ha lo scopo di affrancare l’essere umano dalla realtà, collocandolo in spazi artificiali e funzionali. La tecnologia invece mira ad emanciparlo dal lavoro manuale dall’opera del corpo senza la quale l’opera dello spirito è nulla. Quella libertà non è che un miraggio e la tecnologia non può che sfociare nell’alienazione». Dopo la sua morte il suo amato giardino, visitato perfino da Hermann Hesse, fu distrutto per erigere un hotel.

Gli uomini del 2000 come svegliati da una sbornia, iniziano a rendersi conto di essersi venduti l’anima, perdendo poesia e libertà. Domandarsi cosa sarà del nostro pezzo di terra significa domandarsi cosa ne sarà dell’umanità. Il progresso continuerà la sua corsa e la Terra diverrà uno spazio sempre meno abitabile. Ci si rende conto che la prossima guerra sarà combattuta senza speranza dall’uomo in un deserto. Così ad un passo dal baratro la first lady Michelle Obama, rimboccandosi le maniche, si è fatta riprendere dalle telecamere di tutto il mondo al lavoro nel primo orto della Casa Bianca. Con il motto di “Community Gardening” ha invitato tutti a seguire il suo esempio.

 

Orti e giardini condivisi Orti Urbani Garbatella Foto Zappata Romana 02

 

I milanesi non se lo sono fatti ripetere due volte, rivendicano i loro minestroni provenienti da coltivazioni più virtuose, hanno fatto fiorire orti comunitari urbani e sensibilizzato il “balconaggio”. Il tam tam è sceso fino nella capitale, i militanti verdi di “Zappata romana” ha creato circa 100 orti a Roma. Il gruppo napoletano “Friarielli ribelli” ha fatto suo il motto del filosofo britannico Edmund Burke: “Perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all’azione”. Del resto fare un passo indietro significa ricreare quello che Goethe vide nel nostro bel Paese nel 1787: «La campagna è intensivamente e intelligentemente coltivata come l’aiuola di un giardino». Le radici non gelano, il bisogno di terra ha accompagnato il cammino dell’umanità. Il primo almanacco di consigli di come coltivare il giardino e l’orto fu scritto nel Mediterraneo da Esiodo 2800 anni fa ed aveva un bellissimo titolo: “Le opere e i giorni”. All’epoca la quantità di varietà di frutta e verdura era immensa. Oggi la biodiversività del pianeta sta scomparendo. Il nostro fabbisogno alimentare è ormai legato a trenta piante.

Chi ci governa proprio non sente la risata del re dei Boscimani in Sud Africa. Lui non sa che farsene dei privilegi insapore, sulla tavola del suo popolo conta soddisfatto ben 85 tipi di verdure diverse! E come recitava la canzoncina nel dopoguerra: “Non bono scarpe strette, sigarette, treni e tassì. Molto meglio sveglia al collo rimanere qui!”.

 

[Tratto da IL FLORICULTORE, Settembre 2012]


 

 

 

Anny Pellecchia

>> Cresciuta nello storico negozio di fiori di famiglia a Salerno e in un giardino incantato realizzato da mio padre Ugo Pellecchia non potevo che continuare la tradizione e scrivere le mie "Riflessioni tra i fiori" per Il Floricultore. Perché il mondo del verde ha sempre qualcosa da raccontare!

       

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