Piante e fiori, dove batte il cuore dei ricercatori?
Una recente indagine di UniTo e Cnr-Irsa rivela che alcune caratteristiche esteriori attirano di più l’attenzione degli studiosi. Le ricerche si concentrerebbero su fiori alti e colorati, trascurando specie meno appariscenti eppure importanti per l’ecosistema
Tutti invochiamo una scienza neutra, razionale, indifferente alle emozioni. Ma gli scienziati sono donne e uomini e come tali non sfuggono, anche nelle migliori intenzioni, ai processi della mente umana. Così può perfino accadere che nella scelta delle specie da indagare entrino in gioco fattori estetici. È quanto rivela uno studio condotto da giovani ricercatori del Cnr-Irsa e dell’Università Torino, in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli, il Museo di scienze naturali di Berlino e la Curtin University in Australia. Il lavoro, presentato su Nature Plants, ha analizzato 113 specie delle Alpi sud-occidentali, menzionate in 280 pubblicazioni scientifiche negli ultimi 45 anni, e ha scoperto che gli scienziati “di campo” potrebbero essere influenzati da alcune caratteristiche morfologiche.
«Abbiamo osservato come le piante dai fiori blu sono molto più studiate rispetto a quelle con fiori scarsamente pigmentati», spiega Stefano Mammola del Cnr-Irsa. «Anche l’altezza dello stelo, che in un certo senso è la capacità di una pianta di svettare tra le altre e quindi "farsi notare" dall’osservatore, è un fattore di selezione importante. Al contrario, e forse paradossalmente, il rischio di estinzione delle specie e i loro tratti ecologici non influiscono sulla probabilità che una specie venga studiata».
Campanula barbata
Lì per lì la notizia potrebbe apparire semplicemente curiosa, a tratti addirittura bizzarra. Strappa finanche un sorriso l’idea che l’attenzione dei ricercatori sia condizionata da tratti esteriori. Tuttavia la questione è assai più complessa, come spiegano gli autori dello studio.
«Questo pregiudizio può avere impatti negativi in quanto può orientare gli sforzi di conservazione a favore delle piante più attraenti, indipendentemente dalla loro importanza ecologica per la salute dell’ecosistema generale», osserva Martino Adamo di UniTo, primo autore dello studio.
«Il nostro lavoro non vuole essere una critica alla ricerca svolta dei colleghi, ma piuttosto uno spunto di riflessione», concludono i ricercatori. «È importante riflettere sul nostro approccio alla conservazione e renderlo il più equo ed oggettivo possibile: anche un fiore marroncino contribuisce al corretto funzionamento dell’ecosistema, ed è quindi importante studiarlo e proteggerlo».
Michele Mauri
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